Onore di donna

Duelli di carta, suicidio d’onore, ripudio, matrimonio riparatore


Oltre al duello, in epoca moderna e contemporanea l’onore femminile si lega anche ad altri drammatici istituti e ad altre consuetudini sociali, dal ripudio al cosiddetto “matrimonio riparatore”.

In una società, com’è fino all’inizio del Novecento e anche oltre, in cui la parte femminile della popolazione è fuori delle funzioni pubbliche, militare e politiche, è giuridicamente esclusa da ogni diritto di autotederminazione sociale ed economica ed è affidata a un tutoraggio maschile, l’onore di donna è legato alla dimensione sessuale e riproduttiva.

Le donne sono a lungo oggetto e non soggetto di duello: a prendere le armi sono mariti, fratelli e padri, o le offese all’onore femminile vengono regolate con altre pratiche sociali, come il ripudio della disonorata, il nascondimento del disonore, il matrimonio riparatore, fino alle tragedie del suicidio o del cosiddetto “delitto d’onore”.

Alcuni casi paradigmatici permettono di addentrarsi in questo complesso mondo che s’intreccia, e solo parzialmente si sovrappone, con la storia dell’istituto duellistico.



Un duello di carta del Cinquecento: la donna cavaliere


A una donna che sappia leggere e scrivere, si apre la possibilità di prendere la penna al posto della spada, in una sfida a colpi di versi. Infatti, nella tradizione letteraria, la «tenzone» con le armi conosceva sin dal Medioevo un corrispettivo in versi, di registro comico, che poteva protrarsi anche per vari componimenti successivi, a simulare i colpi inferti in un duello, come nel celebre caso della tenzone tra Dante Alighieri e l'amico Forese Donati.

Si tratta peraltro di una tradizione antichissima che giunge fino al mondo contemporaneo della musica: la sfida a colpi di canzoni offensive è oggi indicata con il termine anglossassone «dissing», derivato da «disrespecting», che in italiano ha generato il verbo «dissare», ovvero «dissare», ovvero «insultare mordacemente qualcuno o qualcosa attraverso il testo di una canzone (specialmente un cantante rivale)» (https://accademiadellacrusca.it/it/parole-nuove/dissare/20508).

Affidarsi alla parola e ingaggiare un vero e proprio duello di carta, a imitazione delle sfide di cui si legge nei poemi cavallereschi, è la strategia che adotta verso la fine del Cinquecento la poetessa veneziana Veronica Franco (1546-1591): la giovane donna, abile compositrice di sonetti e componimenti in terze rime, sfida a duello l’anonimo che l’ha offesa perché è una “cortigiana onesta”, una meretrice che unisce doti erotiche e artistiche nella società rinascimentale.

A chi la oltraggia in versi appellandola «Veronica, ver unica puttana», risponde come una donna cavaliere, una vera eroina da poema cavalleresco, come la Bradamante dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto o la Clorinda della Gerusalemme liberata di Tasso. 


È una sfida in piena regola: lancio del cartello di sfida, scelta delle armi, duello all’ultimo sangue. 


Non più parole, a i fatti, in campo a l’armi, 

Ch’io voglio, risoluta di morire

Da sì grave molestia liberarmi: 

Non so, se ’1 mio, cartel si debba dire. 

In quanto do risposta provocata: 

Ma perché in rissa de’ nomi venire? 

Se vuoi, da te mi chiamo disfidata, 

E, se non, ti disfido; o in ogni via 

La prendo, e ogni occasion m’è grata : 

Il campo, o l’armi elegger a te stia, 

Ch’io prenderò quel, che tu lascierai; 

Anzi pur ambo nel tuo arbitrio

Tosto son certo, che t’accorgerai 

Quanto ingrato, et di fede mancatore 

Fosti; e quanto tradito a torto m’hai.

 (Terze rime, XVI, vv. 1-15)




Un suicidio d’onore nell’Italia unita

Tragici episodi della storia contemporanea rivelano le drammatiche strategie in atto per difendere l'onore di donna quando non c'è un marito, un fratello o un padre che può duellare contro l'offensore e nelle classi sociali non aristocratiche e borghesi.

All’indomani dell’Italia unita, una giovane maestra al primo incarico viene additata dalle malelingue come amante del sindaco locale: una lettera anonima la accusa addirittura di avere abortito in segreto, con una falsa ingiuria che mette a rischio anche il posto di lavoro a scuola perché contempla disonore e illegalità. Si chiama Italia Donati, ha 23 anni e un altissimo senso della propria dignità. 

Nessun duello d’onore è possibile: la giovane maestra è di famiglia poverissima, nubile e indifesa di fronte all’accusa che le rende impossibile persino l'identità professionale, il lavoro e lo stipendio tanto faticosamente conquistati.

Italia Donati si suicida allora per dimostrare che il suo onore è salvo. Lascia dietro di sé una lettera al fratello in cui sfida a parole di fuoco l’ingiustizia subìta, chiedendo un’autopsia che ne attesti la verginità e dimostri dunque scientificamente la non sussistenza della relazione con il sindaco, del conseguente disonore sessuale e dell'aborto illegale:

«Non ti spaventi la mia morte, ma ti tranquillizzi pensando che con quella ritorna l’onore nella nostra famiglia. Sono una vittima dell’infame pubblico e non cesserò di essere perseguitata che con la morte. Prendi il mio corpo cadavere, e dietro sezione e visita medico-sanitaria fai luce a questo mistero. Sia la mia innocenza giustificata e fai che nessun dubbio resti nel pensiero d’alcuno. Guardati bene dal non fare che ho detto e pensa, che muoio per questo motivo. Sia la mia fine un esempio alle mie nipoti e ricordala loro quando conosceranno il mondo l’infelicissima Italia che muore per l’onore» (Italia Donati al fratello Italiano, 31 maggio 1886).

Il «Corriere della Sera» segue la vicenda, facendo così scoppiare a livello nazionale nel 1886 il caso della condizione femminile delle maestre nelle comunità rurali, dense di pregiudizi che rendono loro la vita e il lavoro drammaticamente difficili o addirittura impossibili.

La storia della giovane maestra suicida per onore viene ripresa in articoli di denuncia anche dalla scrittrice Matilde Serao sul «Corriere di Roma» e dalla rivista settimanale per le scuole elementari «Il risveglio educativo».


Duello e ripudio: L'esclusa di Pirandello e Cenere di Grazia Deledda


Un'altra pratica sociale in risposta a un presunto disonore femminile è il ripudio, eventualmente abbinato al duello nelle classi sociali borghesi e aristocratiche. 

Di una giovane donna divenuta maestra per sopravvivere perché accusata ingiustamente di adulterio e scacciata, racconta il primo romanzo del futuro premio Nobel Luigi Pirandello, L’esclusa (1901). Il marito, Rocco Pentagora, ingaggia un duello per lavare l’offesa al suo onore, mentre a lei, Marta Ayala, non resta che il disonore di essere dichiarata infedele e lo sforzo per rifarsi una vita:

 

«- Sì.... ah se sapesse! Da dieci ore, io.... Sa, mia moglie?

- Una disgrazia?

- Peggio. Mia moglie m’ha.... L’ho scacciata di casa....

- Tu? Perché?

- Mi tradiva.... mi tradiva.... mi tradiva....

- Sei matto?

- No! che matto!

E Rocco si mise a singhiozzare, nascondendo la faccia tra le mani e nicchiando:

- Che matto! che matto!

Il professore lo guardava dal letto, non credendo quasi agli occhi suoi, ai suoi orecchi, così soprappreso nel sonno.

- Ti tradiva?

- L’ho sorpresa che.... che leggeva una lettera.... […] Una soddisfazione, professore, io certamente debbo prendermela.... di fronte al paese.... Non le pare? Posso restar così?

- Piano, piano.... Calmati, figlio mio! Che c’entra il paese?

- L’onore mio, professore! Non c’entra? Debbo difendere il mio onore.... Di fronte al paese....» (da Luigi Pirandello, L’esclusa, 1901).

 

Va assai peggio nei contesti rurali raccontati da un altro premio Nobel, Grazia Deledda.


In Cenere (1904), sulla sfondo di una Sardegna poverissima, la giovane Olì viene ingannata da un contadino, che le promette il matrimonio e una vita migliore nel «Continente», ma si rivela poi un uomo sposato e mentitore.


Olì va incontro a una vicenda tragica, perché cacciata di casa per il disonore, sola e abbandonata proprio prende aspetta un figlio:

 

«Solo in autunno zio Micheli si accorse che sua figlia aveva peccato. Una collera feroce invase allora l’uomo stanco e sofferente che aveva conosciuto tutti i dolori della vita, fuorché il disonore. A questo si ribellò. Prese Olì per un braccio e la cacciò via di casa» (Grazia Deledda, Cenere, 1904).

 

 





«Al ratto seguiva il matrimonio»: violenza carnale e matrimonio riparatore



Circa negli stessi anni, l’eroina del romanzo autobiografico Una donna (1906), pubblicato da Rina Faccio con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo, subisce una violenza, considerata un disonore da nascondere in un prematuro e rapido matrimonio, che si rivelerà però assai infelice.


L’io narrante racconta del proprio desiderio di autonomia e realizzazione professionale, interrotto violentemente dalla violenza carnale e dalle nozze conseguenti, quando ha appena quindici anni. La vicenda autobiografica al centro del romanzo di Sibilla Aleramo dà voce per la prima volta a molti aspetti della condizione femminile, tra cui anche l'uso di avallare lo stupro trasformandolo in un cosiddetto "matrimonio riparatore":

 

«Lo interrogavo sul mio conto con grande curiosità; mi descrisse uno d’essi, che si diceva innamorato di me e parlava di rapirmi: questo era un uso non raro in quei luoghi e al ratto seguiva il matrimonio. Io ridevo e accennavo a mio padre, il cui nome incuteva terrore» (da Sibilla Aleramo, Una donna, 1906).

 




La prima che disse no: Franca Viola, 1966


«La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia, così dice mia madre. Io ero più felice se nascevo maschio come Cosimino, ma quando mi fecero nessuno si curò del mio parere»: così inizia un recente romanzo, Oliva Denaro di Viola Ardone (2021).


La vicenda narrata in Oliva Denaro omaggia indirettamente la figura della coraggiosa giovane donna sarda che per prima rifiutò di sentirsi disonorata da una violenza carnale e di sposare il suo stupratore, appena sessant’anni fa, nel 1966: Franca Viola, nata nel 1948.


Dopo il "no" di Franca Viola e il conseguente processo al rapitore e violentatore, serviranno ancora trent'anni perché nel Codice penale italiano lo stupro sia riconosciuto come reato «contro la persona», e non più «contro la morale».



Onore di donnaTesti di Veronica Franco, Italia Donati, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo